Geschrieben von admin am gennaio 11th, 2021 || Varie Quando dico che non si può correre e pensare allo stesso tempo, la gente di solito mi guarda strano. Allora cerco di spiegarmi meglio. E dico: quando io corro forte, non riesco a ragionare in maniera coerente. Nella mia testa si inseguono immagini, brani di musica, frammenti di pensieri che avrebbero anche un inizio uno sviluppo e una fine, ma mentre faccio fatica vanno e vengono senza riuscire a completarsi. Per rendere meglio l’idea racconto di Emil Zatopek, il mio eroe numero uno per quello che riguarda l’atletica leggera e la fatica: se qualcuno gli faceva notare che il suo volto, quando era sotto sforzo, mostrava una terribile sofferenza, lui rispondeva di non avere abbastanza talento per correre e sorridere insieme. Grande, inimitabile, irraggiungibile Emil! A quel punto posso concludere dicendo che io non soltanto non riesco a sorridere, ma nemmeno a pensare mentre corro. Spesso mi chiedo: ma qualcuno ci riesce? E soprattutto: vale la pena di (cercare di) pensare mentre si corre, oppure è meglio trarre beneficio da questo momentary lapse of reason? Questione controversa. In oltre quarant’anni di allenamenti e gare podistiche ho percorso certamente più di 200.000 chilometri (cinque volte intorno al mondo) questo significa che ho passato almeno 22.000 ore della mia vita a correre. Ammettiamo pure che per circa metà del tempo io abbia corso a ritmi bassi, nei giorni di recupero, spesso chiacchierando con i miei compagni di allenamento: restano comunque migliaia di ore passate senza poter pensare a nulla. È stato uno spreco o un vantaggio? Non credo sia una domanda oziosa. Non succede a molti di passare tanto tempo a mente libera; soprattutto non succede in modo naturale: di solito, da quando ci svegliamo a quando ci abbandoniamo tra le braccia del Sonno, passiamo tutto il nostro tempo a pensare a qualcosa. Non sempre farlo ci serve davvero: ma la mente lavora, brucia, gira in tondo, a volte si va a incagliare in secche pericolose come una nave sballottata da una tempesta. La quiete della mente vuota è una cosa molto rara, e benefica: le filosofie orientali insegnano a raggiungerla attraverso severi esercizi di meditazione. Il corridore, quando fa davvero fatica, raggiunge una condizione molto simile a quello che i giapponesi chiamano mushin «la mente vuota».  Nella foto il nostro atleta del ALVE Appiano in azione in una delle sue numerose gare. |